Dietro le Quinte

Televisione

Samurai 7: l’Insostenibile Pesantezza dell’Eredità Culturale

Due colossali errori si possono fare nell’omaggio a un classico: riproporre l’opera originale seguendo lo stesso percorso narrativo nonostante la diversità del medium, e deviare in maniera schizofrenica dallo spunto iniziale per raccontare una storia non sovrapponibile al contesto nativo nonostante la volontà di incistarlo a forza. L’anime Samurai 7 li compie entrambi per la felicità degli spettatori che hanno la stoicismo di sorbirsi le ventisei puntate di questo pastrocchio.

Partiamo dall’inizio: nel 2004 cadeva il cinquantesimo anniversario dell’uscita nelle sale del capolavoro di Akira Kurosawa I sette samurai (1954). Sull’impatto culturale di quest’opera sul Giappone togliamo il velo accademico della sua importanza transmediale; vi basti sapere che qualunque, ripeto qualunque, prodotto commerciale che racconta dell’impresa disperata di un manipolo di eroi renitenti segue fedelmente, ripeto fedelmente, le dinamiche del film del regista più occidentale del Sol Levante. E, piccolo inciso, naturalmente anche Hollywood copiò magnificamente i meccanismi, ritornandoci su più volte, di quella sporca (mezza) dozzina (più uno).

Ma tant’è, si scriveva della celebrazione patria della pellicola di Kurosawa in occasione della tonda ricorrenza. È lo studio Gonzo, fino ad allora sinonimo di qualità e stile, ad essere incaricato di portare l’opera nel nuovo millennio, magari accogliendo alcune mutate caratteristiche del genere seinen. Siamo nei primi Duemila e, ad occhio, cos’è ch’è maggiormente cambiato dal dopoguerra? La tecnologia è l’ovvia risposta, intesa come tecnica e come set del genere. Ecco allora l’ingresso massiccio della computer grafica a cui è demandato l’onere di apportare i cambiamenti più significativi rispetto all’ambientazione originale. Il Medioevo feudale de I sette samurai diventa il Medioevo steampunk di Samurai 7. La scelta sorprende piacevolmente l’occhio dello spettatore fino alle prime puntate quando ci si accorge che il nuovo set non ha in realtà funzione significante ma si limita a una pura scenografia d’effetto. Insomma, la trovata si esaurisce in samurai che combattono contro navi metalliche volanti e nulla più.

Il Bushido è accettato nel nuovo mondo senza contrasto o inglobamento: qui i giapponesi avrebbero dovuto imparare dagli emuli americani di Star Wars che ricordano invece sempre come la filosofia Jedi, consideratane l’assurdità antiquaria in tempi fantascientifici, sia oggetto di sarcasmo o venerazione. La dilatazione dei tempi televisivi nuoce agli sceneggiatori che, piuttosto che approfondire il background dei samurai (già comunque numerosi), decidono di inserire pretestuosamente nuovi personaggi e altre sottotrame. Se l’urticante Komachi è l’obolo che dobbiamo pagare puntualmente alla perversione kawaii dei nostri amici giapponesi, più incomprensibile risulta la scelta di discostarsi completamente dalla trama del film di Kurosawa soltanto dopo la seconda metà della serie. Fino a quel momento l’anime aveva ricalcato abbastanza pacatamente situazioni e perfino battute dell’originale, anche a costo di risultare posticcio. Si veda la celebre rivelazione di Kikuchiyo del suo passato da contadino, così importante nell’economia narrativa de I sette samurai. Invece, nell’anime Samurai 7 quello che sarebbe dovuto essere il picco emozionale risulta quantomeno forzato dato che la recriminazione è compiuta da un robot dal design discutibile e non dallo smisuratamente bravo Toshiro Mifune.

E così la serie diretta da Toshifumi Takizawa si trova, a causa di una sceneggiatura approssimativa e troppo compromissoria, stretta tra le maglie di un singolare paradosso dato che è impossibilitata sia a seguire pedissequamente il plot originale che a cambiare qualcosa. Possiamo scorgere un’altra dimostrazione di questa tesi nella scelta del ritmo di Samurai 7. I tempi dilatati tipici del film e dell’ambientazione vengono sostanzialmente rispettati, salvo fulminee accelerazioni e l’inserimento di scontri e drammi a caso (il segmento narrativo sull’Imperatore e sulla sua particolare modalità di riproduzione è di una pochezza disarmante). Si doveva tenere desta l’attenzione di ragazzi abituati a ben altri standard d’azione ma la succitata randomizzazione emotiva (ancora: il petulante e inspiegabile dilemma di Sanae, la morte di Kyuzo ucciso dal fuoco amico ma che incredibilmente non scatena conseguenze) corre purtroppo parallela a una scarsezza tecnica inusuale per un grande studio d’animazione come Gonzo.

Passi uno stile di disegno volutamente scarno, fatto di pochi tratti e colori pastello, quello che colpisce negativamente è la bassa qualità delle animazioni che rende poco divertenti combattimenti già poco fantasiosi di loro. Il budget sembra sia stata speso tutto per il rendering in CGI dei Nobuseri, che altro non sono che la versione mecha dei quaranta banditi dell’originale. Anche qui l’idea di partenza non era male e poteva trovare felice sviluppo, solo che la volontà di spostare il baricentro canagliesco da loro al perverso Ukyo fa fallire questa intuizione.

L’eredità de I sette samurai trova l’unica felice rappresentazione proprio nella caratterizzazione dei sette guerrieri di Samurai 7. Nonostante la psicologia dei personaggi verta più sul lato dello stereotipo che dell’approfondimento psicologico le dinamiche che si instaurano all’interno del gruppo si stratificano in maniera interessante (chi fa amicizia con chi, chi possiede capacità leaderistiche innate, chi compie un’evoluzione). Così come foriero di spunti è il rapporto di un gruppo comunque coeso verso l’esterno, in particolar modo verso i sofferenti contadini che alternano momenti di subordinazione a scatti d’orgoglio paritario. Samurai 7 riesce meglio proprio quando non inverte gli stilemi de I sette samurai e ribadisce col suo fallimento la pionieristica importanza del suo ispiratore: un figlio degenere non intacca l’eredità morale del padre, semmai ne conferma la fecondità.

LEAVE A RESPONSE

Your email address will not be published. Required fields are marked *